scritti teorici / naturalismo ed astrazione (raffaello sanzio e piet mondrian)

Raffaello Sanzio, La Disputa del Sacramento, 1508 Piet Mondrian, Broadway Boogie Woogie, 1942-43

Raffaello Sanzio, La Disputa del Sacramento, 1508, Musei Vaticani, Roma

Piet Mondrian, Broadway Boogie Woogie, 1942-43, MoMA, NYC

Confrontando l'affresco del Cinquecento con il dipinto del Novecento, la prima considerazione che nasce spontanea riguarda il fatto che i personaggi e le storie della pittura antica hanno lasciato il posto a linee, superfici e colori che, interagendo su di un piano bidimensionale, danno vita ad un’immagine che sembra non avere più nulla in comune con ciò che noi abitualmente chiamiamo realtà.


Gli antichi Egizi consideravano reale una figura dipinta in due sole dimensioni;
prima di Giotto si considerava reale un cielo dipinto color oro;
certi pittori dell'estremo oriente sapevano evocare tutta la varietà e la bellezza dei paesaggi naturali usando “solo” del bianco e del nero.
I dipinti che molti di noi ancora oggi considerano reali si fondano sul codice prospettico elaborato tra la fine del Trecento ed inizi del Quattrocento; un codice che, oltre alle due reali dimensioni della pittura, ne evoca una terza (la profondità) che, in verità, è mera illusione.
Il concetto di realtà in pittura è relativo. Noi siamo ormai abituati a quel codice e, pertanto, consideriamo reali le immagini che esso ci presenta.


Non si sono ancora visti angioletti volare in cielo, santi e profeti seduti su delle nuvole ed ancor meno un uomo barbuto con una sfera in mano, eppure, mosso dal senso comune, un qualsiasi spettatore non esiterebbe a definire reale e comprensibile La Disputa del Sacramento di Raffaello, astruso e inavvicinabile Broadway Boogie Woogie di Piet Mondrian.
Forse, in realtà, con ciò essi vogliono solo dire che sono in grado di riconoscere cose familiari nel dipinto antico e si confrontano invece con cose mai viste nel dipinto moderno.


Riconoscere cose già viste significa forse comprendere l’arte della pittura?


Quanti, osservando un affresco del Cinquecento, un dipinto impressionista od una composizione astratta, riescono ad apprezzare la giustezza della composizione e l’indovinata sequenza dei colori?
Quanti riescono a seguire il ritmo gioioso e misurato delle linee che s’intrecciano, si allontanano e si ritrovano, concentrando e riaprendo lo spazio in forma sempre nuova al respiro profondo della vita?
Per la realizzazione di un’opera d’arte degna di questo nome, molto talento sarà richiesto ad un pittore nella scelta dei colori e nella capacità di comporre sia che egli si cimenti con un dipinto figurativo e sia che egli si cimenti con un dipinto astratto.
Ciò che fa la differenza in pittura è la qualità dei mezzi espressivi. Ciò è vero anche quando si dipinge un volto.
Cézanne, riferendosi ai critici d’arte: «Guarda, vorrei vederli qui, davanti al tuo brutto muso e a me coi miei tubetti e i miei pennelli fra le zampe, tutti coloro che scrivono di noi... Sono a mille miglia... E figurati se sanno che sposando una tonalità di verde a un rosso si rattrista una bocca o si fa sorridere una guancia...»
Quanti colgono i significati più veri che in un’opera d’arte emanano sempre dal modo di rappresentare le cose e non già da che cosa venga rappresentato? Questo mi sembra il criterio più adeguato con cui stabilire cosa sia arte e cosa non sia arte quando ci si trova di fronte ad un dipinto; indipendentemente se si tratti di un’immagine realistica o di un’immagine astratta.
Quanti si soffermano sul dato superficiale e quanti riescono davvero a comprendere la dimensione universale dell’arte?


Matisse: «Il gran numero di persone che sembrano essere state coinvolte dalla pittura nel Medioevo, non s'interessava alle qualità plastiche e grafiche del lavoro del pittore. S'interessavano alla storia che doveva raccontare, perché non c'era altro mezzo d'imparare la storia… Oggi non c'è bisogno di ricorrere a un quadro, a meno di non interessarsi alla pittura.»


Interessarsi alla pittura significa, in prima istanza, contemplare delle relazioni di forma e colore.
Comprendere la pittura significa aprirsi ai contenuti che la forma esprime; ammesso e non concesso che si abbia qualche cosa da dire e si sia capaci di dirlo usando delle forme e dei colori. Comprendere la pittura significa osservare la materia che diventa idea.

Questo è la pittura così come la musica altro non è che una combinazione di sette note; suoni in sé stessi privi di significato che, posti in una certa sequenza e reciproca relazione da menti sensibili e creative, possono diventare più vivi di una schietta giornata di sole.
Un vero artista può rendere omaggio alla natura usando delle forme che non somiglino necessariamente alle forme naturali ma che, nei modi più consoni al pensiero umano, siano capaci di ricreare un brano di natura. Qui sta l’arte!


Parlando della pittura, Leonardo da Vinci la definiva imitatrice di tutte l’opere evidenti di natura. Nel linguaggio del Rinascimento imitare ha però un significato diverso da quello che gli si attribuisce noi oggi. A quel tempo imitare non significava copiare o riprodurre.
Per Leonardo imitare significava generare entità analoghe a quelle create dalla natura, vale a dire, seguendone le stesse leggi.
Dice Piet Mondrian: «L’arte deve guardare non all’aspetto della natura ma a ciò che la natura realmente è.»


Con un sapiente uso di forme e colori si può rendere omaggio alla vita e per farlo non ha molta importanza cosa si dipinge ma come lo si dipinge.
Il come e non già il cosa può avvicinare l’arte degli uomini alla natura.
Attraverso relazioni di forma e colore si può far rivivere sulla tela ciò che la natura e la vita realmente sono.
I grandi artisti di ogni tempo ne sono sempre stati consapevoli.
Anche Giorgio Morandi, che non ha mai dipinto in modo astratto, lo sapeva.
La Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma possiede un suo paesaggio del 1936 dipinto con una materia così sincera e credibile da apparire più vera della realtà. Non le parvenze di un paesaggio, bensì il modo reale e concreto in cui esso è stato dipinto trasforma la superficie di quella tela in un distillato di pura energia naturale.


(estratto da un saggio di Michael Sciam sull'Immagine del Divino nella Pittura Antica e nella Pittura Moderna)



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